Le opere di Angelo Tozzi sono gesti di delicata rivoluzione. In una società che si regge (e al tempo stesso si distrugge) sulla sovrapproduzione, sull’aggiunta all’aggiunta, lavorare per sottrazione diventa un gesto rivoluzionario.
E Angelo Tozzi questa rivoluzione la mette in atto senza gridare, in lui la militanza del rivoluzionario corrisponde a silenziosa autodisciplina che lascia libero l’osservatore di scegliere se fermarsi ad ascoltare quel sussurro nel frastuono o ignorarlo.
Per questo per cogliere i lavori di Angelo Tozzi è importante creare nella mente uno spazio di silenzio, sperimentare quel desiderio di vuoto che è l’obiettivo ultimo del lavoro dell’artista stesso. Un anelito a liberarsi del superfluo per raggiungere un solo tratto, un segno o due, che insieme creino armonia.
Lo stesso Michelangelo nell’abbondanza di dettagli rinascimentali delle sue sculture raccontava di come queste nascessero per sottrazione. Come il lavoro del suo scalpello non facesse altro che togliere il superfluo per arrivare all’essenza e liberare la Pietà o il Mosè dal blocco di marmo. Allo stesso modo Angelo Tozzi lavora per sottrazione, ma il suo scalpello è mentale e la polvere che ne scaturisce non è percepibile dai sensi. E’ un processo in cui ogni segno superfluo deve essere abbandonato, per comunicare solo l’essenziale.
Nella mostra Xylos ritroviamo una selezione di lavori su legno. I supporti, nati da scarti di produzione, hanno forme e spessori diversi e si offrono nella loro varietà a un attento lavoro di ascolto di ogni nodo e ogni venatura. L’opera nasce sempre con un tema definito, con un concetto espresso nel titolo, al quale l’artista si affida e sul quale lascia che la riflessione si muova. Poi nella mente si svolge il lavoro di pulitura, di eliminazione del superfluo, di superamento delle onde del pensiero per raggiungere la quiete del tratto unico. Solo a questo punto interviene la mano dell’artista nel creare un fondo monocromatico. Ogni opera su legno nasce per quel legno, per quella venatura, per quello spessore. Niente è dato al caso. La gestualità c’è ma è in relazione con il rigore assoluto, riflette la pulizia della mente che viene poi tradotta nel gesto. Il fondo, generalmente monocromatico, ha pieni e vuoti mai creati casualmente, ogni sfumatura cromatica trova corrispondenza e armonia sia con la storia del legno che con la composizione in collage.
Grande attenzione è data ai vuoti, agli spazi di interruzione, che come in un componimento musicale segnano il ritmo dell’opera. Gli elementi del collage sono piccoli ritagli in carta, oggetti apparentemente inutili che vengono scelti con cura e posizionati sullo sfondo in accordo con lo stimolo concettuale che ha mosso la creazione dell’opera. Sono gli elementi armonici dell’opera, che con il loro comparire e giustapporsi, creano intervalli, sospensioni, sottolineano vuoti, generano equilibri, sono elementi di un linguaggio e per questo hanno valore estetico, ma anche concettuale.
La musica è altra importante fonte del lavoro di Tozzi e molte opere ne fanno esplicito riferimento, come le sei sinfoniette o La Casa di Hilde, espressamente ispirata al brano di De Gregori. Sono lavori che traducono visivamente l’esperienza acustica della musica. Anche qui la base è importante sostegno al componimento, i vuoti prendono valenza di pause e gli elementi del collage segnano accenti, equilibri ritmici, armonie.
L’arte di Angelo Tozzi si ricollega a un fare poetico che ritorna in molti aspetti dell’artista. E’ un’attenzione al dettaglio, una cura per la forma che si caratterizza etimologicamente nel “colere” latino, un’attitudine allo “stare nel campo” per farlo fiorire, per sentire il bisogno di coltivarlo nel rispetto dei tempi della mente e della terra, nell’ascolto delle stagioni che richiedono stasi e movimento e offrono presenza e assenza.
Testo di Dafne Crocella dal catalogo della mostra edito dallo Spazio Comel
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