Una pennellata rossa densa e appiccicosa. Un volto di donna dai tratti orientali. L’incontro tra la raffinata tecnica del disegno in bianco e nero e le sgocciolature più grossolane. Triana Ariè ci presenta la delicatezza violata. Il silenzio di labbra chiuse urla attraverso il colore. Lo sguardo negato e le incrostazioni su ciglia e capelli ci portano verso l’imposizione della censura. Eppure neanche una ruga sul viso, non un cipiglio, nessun cruccio. Sdegno glaciale, silenziosa distanza.
Disegnato con l’accurata tecnica che contraddistingue il lavoro di Triana Ariè le grafiti di diversa gradazione portano a un chiaroscuro denso da cui l’immagine emerge. Il volto femminile potrebbe essere un perfetto ritratto, se non fosse per la mano invisibile che si inserisce nell’opera imponendosi con la sua pennellata rossa.
La vista impedita e il rosso del colore ci portano a un gesto di sopraffazione, un atto di violenza, richiamato dal vivo cromatismo che sgocciola sulla spalla. L’azione dell’invisibile pittore s’impone sul volto della donna ridipingendo per lei la realtà e scegliendo il filtro cromatico dal quale potrà guardare il mondo.
Nella chiusura dello sguardo troviamo l’unica azione di rivendicazione della propria individualità: non guardare.
Il pennello copre l’altro occhio in un gesto grafico che è prima di tutto censura. Se nell’opera dell’artista la libera formazione dell’identità personale del soggetto è affidata al gesto grafico e agli strumenti dell’arte, in questo caso la grafite, allora l’imposizione sociale, agita come silenziosa e subdola prevaricazione, non può che essere affidata al tool pittorico per eccellenza: il pennello.
Provocatoriamente l’artista sceglie di dare all’opera il titolo Senza Titolo, a rafforzare il potere di una censura che toglie il nome e nega l’identità. Un Senza Titolo che è più forte di qualsiasi titolo, per chi sa coglierlo, ma che potrebbe passare inosservato a quanti hanno già subito e accolto la cancellazione della propria visione personale.
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