Puoi percorrere il Maxxi su e giù per le sue scale, conoscerlo a perfezione, ma in un modo o nell’altro finisci sempre con il perderti e ritrovarti improvvisamente dove meno te l’aspetti. Se ci stai dentro convinto di seguire un percorso chiaro stile Anni ’80, beh… sei circa 40 anni fuori posto! Siamo nel secolo delle incertezze, dei tracciati che si vanno perdendo, delle strade da reinventare.
E così è il Maxxi, dove il percorso lo decidi tu, e ti lasci trasportare un po’ dal caso, un po’ dalle tue idee, un po’ ancora dalle emozioni. E poi ti perdi e alla fine scopri che proprio grazie a quell’essere perso hai trovato qualcosa che non sapevi ci fosse, ma che forse stavi in qualche modo cercando.
Decido di andare a vedere la mostra di Piero Gilardi Nature Forever. Sarà quel verde primaverile, sarà il mio costante amore per la Natura e il mio continuo interrogarmi sul rapporto dell’uomo con l’ambente che lo circonda, mi sento attratta e incuriosita.
Entro e mi dirigo verso la galleria 3, mentre cammino finisco per sbaglio nella 5 e mi trovo nella mostra Please Come Back. Non so perché ma proseguo. Due piccoli televisori… proseguo. Mi dico: – non sto cercando questo – eppure entro. E improvvisamente sento di dovermi fermare. Istinto, errore, coraggio di cambiare idea, curiosità… ingredienti essenziali per andare avanti nel nostro XXI sec.
Mi ritrovo davanti ai tre grandi schermi con le immagini di Inverso Mundus di AES + F, la video installazione di Tatiana Arzamasova, Lev Evzovich, Evgeny Sviatsky e Vladimir Fridkes. L’immagine scorre lenta e io rallento. Resto imprigionata. Catturata dal volo di mille animali fantastici. Io che detesto la fantascienza. Io che non ho nessun interesse nel mondo degli alieni. Sempre piena di ricerche umanistiche che raramente si incontrano col mondo scientifico. Improvvisamente imprigionata! E se questa mostra è sulla prigione e sui suoi mille significati anche a livello simbolico. Eccomi dentro quando meno me l’aspetto.
Guardo gli alieni che volano. Guardo questi umani un po’ alieni anche loro che accarezzano i loro piccoli pets alieni. E sento nelle orecchie e nel cuore il richiamo “Please Come Back…”
E’ la nostalgia che ci assale. Quella malinconia per qualcosa che si è perso e che continua a chiamarci. Quella voce che durante il nostro cammino su questa terra continua a dici: “Come Back… pleeeaaaasssseeee…”. E io sempre allegramente iperattiva, così lontana da quella malinconia, mi ritrovo ricca anche di questa. La sento e la riconosco come imprescindibile sostanza dell’essere umano. La voce aliena ci chiama verso un ritorno da un mondo che abbiamo lasciato. E qualcuno non resiste a questo canto. Qualcuno lascia, abbandona, muore. Volontariamente. Sceglie di far ritorno. Mille gli alibi per giustificare questa scelta, mille le prigioni dalle quali ci sentiamo asfissiare. Ma la voce che ci chiama forse è sempre la stessa. E’ quell’alieno in un mondo parallelo che ci aspetta. E’ quella parte di noi che abbiamo lasciato da qualche parte e continua a chiederci gentilmente “Please, Come Back”.
La mostra curata da Hou Hanru e Luigia Lonardelli ospita 26 artisti con oltre 50 opere che si confrontano sul tema della prigione, quella reale: il carcere, e le molte altre prigioni simboliche che spesso, se accettate, sanno liberarci dal carcere materiale.
E’ divisa in tre sezioni facendo perno sull’immagine del Muro: Dietro le Mura, Fuori dalle Mura, Oltre i Muri. Imprevedibilmente inizia a dialogare con la mostra che ho raccontato il mese scorso: Georg Baselitz e i suoi Eroi, così fortemente segnati dal Muro, tanto da diventare portatori di muri interiori, divisioni e frammenti tra ideale e realtà.
DIETRO LE MURA – please come back #1
La guardo incuriosita, la grande gabbia che contiene una valigia chiusa da mille lucchetti e una panchina, ancora non so di trovarmi davanti a un’opera della mostra che sta per catturarmi. Mi vengono in mente le valige dei migranti italiani dei primi del ‘900 con un po’ di spago intorno, piene di vissuti stropicciati, di sogni e di paure. E inevitabilmente penso agli infiniti lucchetti che continuiamo a chiudere davati ai nostri sogni, alle aspirazioni, alla creatività più genuina. E’ The cage, the bench and the luggage del malese H.H. Lim e ci porta visivamente incontro alla più probabile immagine legata al concetto di prigione: sbarre di metallo.
Sono 12 gli artisti che interpretano con il loro lavoro il tema “Dietro le Mura” della mostra Please Come Back esposta al Maxxi tra febbraio e maggio 2017.
Gianfranco Baruchello, di Elisabetta Benassi, Rosella Biscotti, Mohamed Bourouissa, Chen Chieh-Jen, Harun Faroki, Claire Fontaine, Gulsun Karamustafa, H.H. Lim, Berna Reale, Shen Ruijun, Zhang Yue.
L’impatto è forte e la privazione spesso si percepisce con angoscia e crudezza: mi sento trasformarmi in un occhio, una telecamera anche io che, dal fuori, dal mio vivere “libero” osservo con distacco lo sconosciuto che sta dentro. Per qualche minuto mescolo il mio tempo con il lento fluire del suo, poi mi giro e proseguo, lui resta là.
A rispondermi e confermare la mia sensazione è il video di Harun Farockile: telecamere a circuito chiuso nel carcere di massima sicurezza a Corcoran in California. Un bianco e grande cortile, senza un segno di natura. Cemento su cemento. Tempo su tempo. Secondi che scorrono formando anni che si susseguono nel vuoto. E il vuoto di questo cortile bruciato dal sole si imprime abbagliante nella mia retina, una linea nera, l’ombra, segna lo scorrere del tempo, ricordandomi che non sto davanti a un fermo immagine.
FUORI DALLE MURA – please come back #2
Con gli artisti Ra di Martino, Carlos Garaicoa, Rem Koolhaas e Elia Zenghelis con Medelon Vriesendorp e Zoe Zenghelis, Lin Yilin, Jill Magid, Mickhael Subotzky, e i Superstudio la mostra indaga sulla prigione
fuori dalle mura del carcere.
E’ il nostro vivere quotidiano incastrato in dinamiche sempre più inconsapevoli e lontane dal senso che potrebbe avere la libera scelta. Le otto ore lavorative giornaliere, che si sono andate trasformando negli anni condendosi di incertezza, sono la gabbia sociale in cui molti vivono, la prigione quotidiana che ci consente di risparmiarci la gabbia materiale del carcere.
L’accettazione della gabbia sociale, la mancanza di libertà legata a una quotidianità alienante ci porta di nuovo nella dimensione dell’attesa. Come nel carcere. Attesa di un fine settimana, attesa di un viaggio, attesa di qualcosa che prima o poi arriverà e ci libererà.
In questo sguardo si inserisce potente il tema della privacy. Molti i video che indagano su questo. Telecamere nascoste ovunque che ritraggono il fluire incnsapevole della vita. Il controllo del Grande Fratello è evidente nel lavoro di Mickhael Subotzky dove sono mostrati, senza alcun intervento tecnico, i filmanti della polizia di Johannesburg. E’ lo sguardo di controllo urbano, sottolineato anche dal lavoro di Lin Yilin.
A questi lavori si affianca il video di Jill Magid girato a Liverpool e lo sguardo della mia mente, a questo punto, si trova davanti le immagini delle ecografie fetali a colori. Mi tornano in mente accompagnate dal senso di disgusto che hanno prodotto in me la prima volta che le ho viste. Quando un’amica incinta me le ha mostrate fiera: le prime “foto” di suo figlio ancora in gestazione. Le palpebre chiuse da una sottile membrana, il dito in bocca, non sa di essere osservato e lei esulta: “assomiglia al fratello!” e io mi sento male. E davati a questi video capisco perchè.
OLTRE I MURI – please come back #3
La mostra Please Come Back iniziata davanti a una gabbia finisce con l’aprirsi sul cielo della grande vetrata della galleria superiore. Fuori gli alberi sono scossi dal vento e minaccia temporale. Sicuramente un satellite dall’alto sta riprendendo i movimenti delle nuvole per prevedere cosa ci aspetta nei prossimi giorni. Nessuna sorpresa, please!
Il tema di questa ultima sezione Oltre i Muri è denso di punti interrogativi, di segreti di stato. Linguaggi criptici e codici diventano inuovi vocabolari per pochi. Il lavoro è affidato alle opere degli artisti AES + F, Jananne Al-Ani, Simon Denny, Omer Fast, Dora Garcia, Jenny Holzer, Trevor Palen e Zhang Yue.
Cosa c’è oltre i Muri? Chi controlla tutto? E sopratutto da chi è controllato chi controlla? Qual’è la volontà che muove tutto questo? E questa volontà può considerarsi libera?
“Please, Come Back!” chiedono gli alieni del video di AES +F, da cosa e per dove? E se oltre le mura trovassimo nuovamente altre prigioni? Con l’illusione dell’attesa di una liberà altrove? Oltre altri muri ancora?
Mi metto le cuffie e circondata da un cielo minaccioso e grigio ascolto voci incomprensibili e un susseguirsi di suoni che mi parlano di codici segreti accessibili a pochi. Intanto le immagini di Trevon Paglen mi riportano verso la calma degli acquarelli, la sicurezza di linguaggi accessibili, criptici perchè poetici. Non so che in realtà si tratta di decostruzioni e trasposizioni visive dei sistemi di controllo quali i dispositivi satellitari o i sistemi di cablaggio sottomarini.
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