Il lavoro di Elena Diaco Mayer ha il silenzioso gusto di un haiku e l’elegante provocazione dello zen. La sua è una ricerca di essenza e purezza nella quale lo sguardo trova pace e armonia.
In questo percorso emerge una elaborazione artistica personale che fa del vuoto e dell’assenza l’oggetto principale della ricerca. Se nel nostro occidente il nulla è un elemento concettualmente ostico, spesso affrontato con accezione negativa, presso le culture orientali questo attiene a una dimensione filosoficamente familiare ed assume il valore positivo di origine e contenimento del Tutto.
L’artista trova nello specchio l’elemento rappresentativo dell’indagine sull’assenza in relazione alla purezza dell’essenza. La superficie riflettente è ottenuta attraverso un lungo processo di preparazione della tavola, come si faceva nelle icone bizantine: 12 strati di gesso e colle pazientemente levigati fino ad ottenere una superficie marmorea e rendere così riflettente un materiale come il legno, che per sua natura non lo è. La superficie metallica è poi lavorata con incisioni e smerigliature che ricordano trame, o increspature d’acqua, impalpabili ragnatele tra noi e la nostra immagine appena accennata.
Attraverso l’immagine dello specchio Elena Diaco Mayer tesse un collegamento tra l’astrazione concettuale della ricerca meditativa orientale e l’oggetto allegorico della tradizione orale occidentale. Qui lo specchio è descritto come strumento garante di un’ingannevole identità, servitore di brame, che spesso conduce il protagonista verso la perdizione. Lo ritroviamo dal mito di Narciso alla favola popolare di Biancaneve. Nella narrazione lo specchio diventa interlocutore di presenza, strumento di ricerca di una identità messa in dubbio, pericoloso amuleto per quanti cercano conferme nell’esteriorità.
Elena Diaco Mayer raccoglie quest’oggetto e lo rielabora seguendo lo stimolo che le viene dal mondo orientale e portando la riflessione da un livello fisico a uno spirituale e meditativo. Re-flectere è piegare in dietro. Ogni riflessione, sia fisica che intellettuale richiede questo movimento di rimando, di restituzione e rielaborazione. Negli specchi di Elena la riflessione passando dal piano fisico a quello spirituale ci porta con la mente verso un luogo originario, una radice comune di essenza che, appena raggiunta, improvvisamente ci sfugge nuovamente. L’incanto dello specchio è anche questo: l’impossibilità di possedere l’oggetto della riflessione. Così accade nella meditazione, quando la mente si agita inquieta cercando il riposo e il vuoto, e appena lo raggiunge la percezione stessa di averlo colto porta nuovamente all’elaborazione mentale dell’esperienza, spostando la linea del nostro orizzonte.
(dal catalogo della mostra Mirrors of Emptiness edito dalla Comel Edizioni)
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