Francesca Coccurello racconta il disagio mentale attraverso l’immagine dei confini che a livello fisico o mentale vengono continuamente eretti tra noi e l’altro. Come un’intricata foresta, o una fitta rete, un insieme criptico di segni che ci racconta nel nostro rapporto con questo pianeta, tra l’esserci e il non esserci, tra il territorio e il suo confine escludente, oltre il quale tutto cambia, forse semplicemente perché è oltre.
Inoltrandosi nell’immaginaria foresta creata da Francesca Coccurello ci assale il senso di solitudine che la dimensione escludente porta con sé. Ogni uomo è un’isola quando non si ritrova nello sguardo dell’altro.
Il confine è nel giudizio che portiamo verso il diverso non accettato, la prigione in cui richiudiamo ogni portatore di alterità per timore di perdere la nostra identità.
Come sosteneva Bauman i confini determinano quali sono le ore, i luoghi e i momenti giusti, sono sovrastrutture mentali che garantiscono ordine. La diversità rappresenta quindi una minaccia a tale ordine, un pericolo per il Noi dominante. Allora l’Altro, il diverso, diventa elemento di messa in discussione delle certezze. L’essere umano ha costruito barriere e posto confini durante l’arco della storia scegliendo di volta in volta il diverso da emarginare in base a leggi razziali, a scelte religiose, a genere.
La diagnosi clinica che ha portato al ricovero psichiatrico è stata spesso utilizzata per recludere e allontanare il diverso temuto perché portatore di un pensiero e di visioni che rompevano l’equilibrio della società dominante.
Francesca Coccurello ci invita a inoltrarci in questi immaginari territori di barriere e confini e spingerci oltre. Solo allora potremmo voltarci e vedere seduto al nostro posto l’Altro che prima temevamo scoprendoci a nostra volta altri per lui.
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