Se nella narrazione, prima orale e poi scritta troviamo i punti fermi della nostra conoscenza e del processo attraverso il quale andiamo formando la nostra identità culturale, nel carnevale questi pilasti vengono ribaltati.
Allo stesso modo la mano dell’artista Ilaria Sartini entra nelle fiabe e nei testi letterari trasformandoli e ribaltandone la trama. Il modello carnevalesco prende il sopravvento sulla narrazione capovolgendola per raccontarla nuovamente.
Alice nel Paese delle Meraviglie, emblematica protagonista del viaggio di scoperta che ha inizio con un volo a testa in giù, è il simbolo principale della conoscenza attraverso il capovolgimento e non a caso una presenza ricorrente nei lavori di Ilaria Sartini.
Nella mostra per il carnevale dell’ex lavanderia la troviamo ora mentre tiene tra le braccia il Gatto del Cheschire. L’assurdo di Wonderland viene capovolto per essere riportato in una dimensione quasi plausibile: una bambina con un gatto in braccio. Ma il gatto mantiene il ghigno del famoso Stregatto e le strisce violacee della sua pelliccia. Nel ritrovarci in un capovolgimento del mondo capovolto avremmo potuto immaginare di recuperare il punto di partenza: l’ovvio, l’abitudine. Non è così, Ilaria Sartini ci mostra, guidandoci nel Paese delle Meraviglie, come capovolgendo ciò che è già capovolto non ritorneremo mai al punto di partenza perché l’esperienza del capovolgimento ci avrà trasformati.
Per questo nella piccola Alice Con Il Gatto In Braccio non vediamo la tenera immagine di affetto tra cuccioli, ma possiamo percepire il processo di consapevolezza legato alla scoperta del Paese Meraviglie e alla conseguente accettazione della follia presente in ognuno di noi.
Il capovolgimento del racconto procede con il Re dei Topi Pifferaio. In una chiave di lettura quasi banskiana il topo diventa simbolo di resistenza in un sistema malato che cerca di annullarlo. Topi sono un po’ tutti gli emarginati, i personaggi scomodi, ma anche le masse operaie su cui si regge l’intera società. Il Re dei Topi diventa quindi il simbolo del rivoluzionario, colui che riesce a percepire ciò che veramente non funziona nel sistema e sente la responsabilità di una trasformazione. Solo le orecchie dei bambini, ancora non uniformate alla musica imposta dal sistema riescono a sentire il suono del suo flauto e scelgono di seguirlo.
Chiude la serie I Confini dell’Io, una maschera bifronte che racconta la nostra dualità appesa a un filo. La maschera dal doppio volto oscilla all’interno di una gabbia in un vano tentativo di movimento. Quali sono effettivamente i confini dell’Io? E chi li impone?
Pirandellianamente l’artista ci mostra i limiti che ci auto imponiamo nel tentativo di comprenderci e definirci. Se la maschera appare dunque una rappresentazione dell’Io che la sceglie per assumere i diversi ruoli a cui è chiamato o per mostrare alcuni aspetti di sé, la gabbia che contiene la maschera è il nostro corpo fisico, l’aspetto esteriore che rafforza la maschera e al tempo stesso ci chiude all’interno di schemi. Sia maschera che gabbia sono auto imposte, privazioni e costrizioni che creiamo per noi stessi limitando la nostra libertà di azione.
>> vedi i lavori di Ilaria Sartini nella mostra I Panni Sporchi
>> vedi i lavori di Ilaria Sartini nella mostra Come Fiori in Città per la RAW 2019
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