L’opera è nata nei giorni di pandemia e racconta il senso di rabbia e smarrimento che abbiamo vissuto. La base è creata da alcune pagine del fumetto Golconda del 1992 di Dylan Dog, quasi a raccontare come in quei giorni, chiusi in casa, in molti siamo tornati ad attingere a vecchie risorse e abbiamo lasciato emergere angoli e talenti del nostro passato.
Nel fumetto, inizialmente ambientato a Londra, mondi inaspettati stravolgono la logica che governa apparentemente la nostra vita e raccontano, nelle storie racchiuse in questo volume, il lato più folle e fantastico dell’universo dell’Indagatore dell’Incubo. Da questa base parte la riflessione di Giulia Cudemo che si aggancia a quanto avvenuto effettivamente nella città indiana.
Tra la Golconda indiana e la nostra società schiacciata da un nuovo virus dalle origini poco chiare, si crea una corrispondenza. Il virus appare come delle bolle construite con un’attenta geometria che sovrastano la scena galleggiando tra le immagini sullo sfondo. Di spalle, in basso, cammina il papa, a ricordare la sua solitaria messa pasquale in una San Pietro deserta e carica dell’angosciante solitudine di tutti gli assenti.
Si staglia poi il volto di una donna, l’immagine concreata di quanto stavamo vivendo, la portatrice della trama. Un volto caratterizzato dagli occhi dai tratti orientali che poi si vanno occidentalizzando nella parte inferiore del viso.
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