Nata a Padova e cresciuta a Firenze Elena Diaco Mayer ha potuto formare il suo sguardo ammirando le architetture del nostro Rinascimento. Le ampie facciate delle chiese e i ricchi tesori dorati nella penombra delle cappelle hanno mosso la sua ricerca sia da un punto di vista spirituale che materico e poi tecnico. La pulizia delle forme, l’equilibrio tra le proporzioni e il cromatismo minimale delle architetture di chiese e basiliche hanno trovato, nei successivi anni milanesi, una corrispondenza concettuale negli studi legati alla filosofia orientale e alla ricerca spirituale zen. Mentre le icone dai fondi dorati custodite nelle loro teche hanno spinto l’artista verso i suoi studi sull’iconografia russa e bizantina.
Se da un lato la pulizia delle forme si è andata rispecchiando in una pulizia del pensiero che invita a togliere per raggiungere l’essenza, parallelamente l’oro e l’argento sono diventati strumenti di sublimazione del mondo fisico: la dimensione luminosa presente in nuce nella materia, trova, attraverso il lavoro dell’artista, la possibilità di rivelarsi, di rendersi visibile.
E’ a Catanzaro, sua attuale città di residenza, che Elena dichiara di aver ritrovato l’oro delle icone scoperte nell’infanzia fiorentina. Nella luce del sole calabrese a volte tanto viva e onnipervasiva da sembrare senza origine, prendono vita i suoi lavori e a quella luce continuano a tendere. E’ una ricerca alchemica che partendo dalla dualità di un cromatismo essenziale si protende verso l’unità espressa dall’oro.
Parallelamente Elena Diaco Mayer ha portato avanti studi di lingua araba e calligrafia giapponese per approfondire l’esperienza del gesto grafico che nel suo scorrere comunica. Questo si è andato trasformando in scrittura astratta, gestualità che racconta l’anelito umano verso la condivisione del sé, andando oltre la dimensione del razionale.
Oggi nell’arte di Elena Diaco Mayer troviamo un personalissimo accordo tra tratto rinascimentale e meditazione orientale, tra iconografia bizantina e metafora zen.
(dal catalogo della mostra Mirrors of Emptiness edito dalla Comel Edizioni)
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