Si sa che il contatto con la Natura sana. In Giappone si parla di Shinrin Yoku, in occidente di Bagni di Foresta, o più semplicemente Wood Therapy. Immergersi nella Natura è riconosciuta come forma di terapia che non solo porta benefici fisici, ma che psichici e mentali.

Mirella Rossomando riparte dal mito. Quello di Dafne e Apollo. Qui mostra la giovane ninfa libera, non più colta nell’impeto della corsa, finalmente siede in mezzo agli alberi abbracciando tronchi di giovani allori. Si sta trasformando senza rinunciare alle sue sembianze di donna. Sta curando il suo femminile, recuperando forze, riconoscendo ferite e riparandole. Questo è quanto può effettivamente succedere a ognuno di noi quando scegliamo di rifugiarci nei boschi, o di fare immersioni nella Natura. E Mirella Rossomando lo racconta mostrando una audace capacità di collegare miti e mondo contemporaneo, un’attenta analisi che le permette di rileggere le Metamorfosi per darle nuova vita. Si mostra così una doppia trasformazione: da un lato quella della giovane donna che si trasforma interiormente a contatto con la Natura; dall’altra quella del mito, che nelle mani della Rossomando prende nuova forma per adattarsi al nostro contemporaneo.

La Natura, come in molte opere di Mirella Rossomando, diventa strumento di catarsi, simbolo, ma anche rifugio, luogo dal quale emergere rinnovati. Ritroviamo elementi cari all’artista quali la conchiglia, simbolo del femminile, dell’utero e della sorgente di ogni vita, non a caso si trova riposta in un nido, protetta dalle fronde. Sulla conchiglia poggia leggera una farfalla, le sue ali prendono colore e riportano la mente verso l’impalpabile, quel mistero che ci circonda ma che spesso non riusciamo a toccare. La farfalla, e il rospo vicino, sono animali che vivono nel nostro immaginario associati anch’essi al tema della trasformazione. La prima l’ha già vissuta, si è liberata e ora può mostrarsi nell’autenticità dei suoi colori, l’altro è ancora bianco e nero, in attesa forse di incarnare la narrazione fiabesca e trasformarsi in principe.

Pochi colori ad evidenziare alcuni punti: le ali della farfalla, le vesti che coprono il bacino e parte delle gambe della giovane donna, i suoi capelli e la testa di un ploto, l’uccello africano posato al suo fianco. Zone dove l’occhio si sofferma cogliendo rimandi nelle sfumature cromatiche: la testa della donna e quella dell’uccello si muovono su tonalità dorate, collegando la leggerezza dei pensieri pronti al volo e la loro sacralità; le ali della farfalla e parte delle vesti sono nelle tonalità del rosso, riportandoci verso sensazioni di delicatezza, armonia ed attenzione all’estetica.

L’opera invita a una riflessione sul diritto all’autoaffermazione e su come questo possa trovare terreno a contatto con la Natura più che all’interno delle nostre strutture sociali. Le radici e i piedi sono ancora elementi di rilievo nella lettura dell’opera. Qui, la giovane ninfa non perde la sua mobilità, le gambe non diventano tronco e i piedi non sprofondano nella terra. Le radici degli alberi si mostrano con la loro forza, contorte, potenti, ma non vincolanti. La ninfa le accarezza, le riconosce come fonti di forza e stabilità, ma non si lascia vincolare da queste. Ai suoi piedi, la scacchiera, terreno di gioco, di azione e movimento, zona con le sue regole codificate, le sue leggi stabilite dall’essere umano, terreno sociale nel quale poter ritornare dopo essersi ricaricati e ritrovati nella nostra autenticità naturale.

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